Tito Boeri, presidente dell’Inps, ha promesso che presenterà al governo le sue proposte sulle pensioni. Qualcuno, nel governo, ha per la verità fatto polemicamente notare che il presidente dell’Inps non è il ministro del Lavoro, competente per l’elaborazione delle proposte politiche. Ma lui tranquillo ha risposto che il potere di presentare proposte che poi l’esecutivo vaglierà non può essergli tolto. Cosa dirà? Ovviamente nessuno lo sa ancora. Tuttavia ci sono nel web chiare “tracce” delle sue possibili proposte. Tanto che appare molto probabile che più o meno seguirà quello che lui stesso ha scritto più volte nel sito www.lavoce.info. Dopo vari interventi, da ultimo, nel gennaio del 2014, Boeri ha presentato le sue proposte insieme a Fabrizio Patriarca e Stefano Patriarca nell’articolo “Pensioni: l’equità possibile”.

La prima cosa che si può dire è che se il governo seguirà le sue indicazioni, si tratterà di una vera rivoluzione perché per la prima volta si intaccheranno i diritti acquisiti di circa due milioni di pensionati su 18,5 milioni.

Il principio a cui pensa Boeri è di una semplicità disarmante: nel campo pensionistico non esistono più diritti acquisiti, neppure per chi è già andato in pensione. È evidente che si tratta di un intervento teso a cambiare il passato, ovvero le cose già decise applicando le leggi esistenti in precedenza. Il presente modifica il passato: si tratta di un salto logico che nessun governo ha mai osato fare se non per interventi limitati nel tempo (sulla rivalutazione delle stesse pensioni, ad esempio, e tutti ricordano che proprio il mese scorso la Corte costituzionale l’ha bocciato). Non sembra ci siano altri esempio nel mondo occidentale avanzato di misure del presente che intaccano i diritti pienamente acquisiti nel passato secondo le leggi che esistevano all’epoca, se non dopo guerre o rivoluzioni. O dopo fatti straordinari come la gravissima crisi in Grecia. Dunque, se l’Italia seguirà le orme della Grecia (peraltro queste norme sono state da poco in parte annullate dalla Corte costituzionale greca) il segnale politico che si darà è che anche nel nostro paese siamo di fronte a un’emergenza assoluta, non gestibile con le normali politiche..

Secondo lo schema elaborato da Boeri, comunque, il governo dovrebbe mettere mano non soltanto alle pensioni future ma anche a quelle in essere, risalenti anche a moltissimi anni fa.  In sostanza, il “postino” dell’Inps dovrebbe bussare alle porte delle case di almeno il 10 per cento dei pensionati con un assegno più o meno alto (grosso modo a tutti quelli che prendono più di 2.000 euro lordi, corrispondenti a 1.400-1.500 euro netti) chidendo un obolo crescente via via che sale il reddito previdenziale.

Come si potrà arrivare a questi ricalcoli che, secondo Boeri, saranno un segno di equità intragenerazionale (perché si recupereranno risorse pari a 4,2 miliardi che potranno essere in parte redistribuite sull’attuale platea) e intergenerazionale (perché con questi risparmi si potranno anche pagare pensioni più generose ai futuri pensionati)?

Teoricamente la cosa è abbastanza semplice: si tratta di ricalcolare per tutti la pensione con il cosiddetto “metodo contributivo” che assicura una neutralità del calcolo per qualunque tipo di pensionato: l’assegno è direttamente proporzionale al monte dei contributi effettivamente versati nel corso del tempo. Secondo il precedente “metodo retributivo” invece (in genere più generoso ma per la verità non in tutte le condizioni perché può succedere anche l’inverso, che il contributivo sia più generoso del retributivo) in vigore per tutti quelli che sono andati in pensione fino al 1995 ma anche negli anni successivi e fino ad oggi per tutti quelli che a quell’epoca avevano già raggiunto i 18 anni di contributi, il calcolo prescindeva da tutta la storia contributiva e si concentrava sullo stipendio degli ultimi anni.

Ricalcolare per tutti i pensionati la storia contributiva  per vedere chi oggi ha una pensione più elevata di quella che sarebbe consentita seguendo il metodo contributivo, sarebbe un’opera di equità, secondo il presidente dell’Inps. Giusto o sbagliato che sia ricalcolare la pensione del passato con il metodo del presente, ecco cosa viene fuori dalle simulazioni che Boeri ha fatto con Patriarca padre e figlio: Chi, fra i lavoratori dipendenti, prende una pensione tra 2 e 3 mila euro prenderebbe in media circa il 26 per cento in più di quanto avrebbe preso con il metodo contributivo. Quelli tra 3 e 5 mila euro (lordi, si ricordi) prenderebbero il 20 per cento in più, mentre quelli oltre 5 mila il 16 per cento in più.  Ma Boeri non vuole allarmare troppo: non è che tutti dovrebbero restituire l’eccesso: no, sull’eccesso di pensione (lo “squilibrio” lo chiama lui) si pagherebbero “aliquote” del 20 per cento tra i 2 e i 3 mila euro, del 30 sulla parte da 3 a 5 mila e del 50 per cento oltre i 5 mila euro, con una sostanziale progressività.

Si noti bene: gli “squilibri” qui indicati non sono uguali per tutti ma sono soltanto una media. Occorrerà quindi vedere le posizioni una per una per verificare chi ha avuto di più e chi meno. Preliminarmente, vediamo che secondo i calcoli di Boeri-Patriarca-Patriarca, hanno avuto di più i lavoratori autonomi: lo “squilibrio” è qui il 58 per cento in più per tutti coloro che hanno una pensione oltre i 2.000 euro lordi, contro il 26-16 per cento (decrescente a seconda del reddito) dei lavoratori dipendenti.

La stessa ricerca di Boeri-Patriarca mette in luce anche altri elementi, secondo il loro metodo di ricalcolo di tutte le pensioni in essere: “Nel caso dei lavoratori dipendenti del privato i tratterebbe perlopiù di pensionatid’anzianità, mentre per le pensioni di vecchiaia sarebbero quasi tutte escluse avendo basso o nullo squilibrio perché maturate in età molto più alte. Nel caso dei dipendentipubblici il contributo riguarderebbe anche una fetta consistente di pensioni di vecchiaia”.

Il ricalcolo contributivo delle pensioni in essere sembra una cosa semplice ma in realtà presuppone non dei precisi numeri ma, tornando indietro nel tempo, una sorta di ricostruzione “spannometrica” dei contributi soprattutto di quelli versati prima del 1992, per i quali non esistono dati certi.

Ma i problemi pratici, come hanno messo in luce i critici di questa proposta, sono mille altri. Ad esempio, tra quelli che hanno avuto di più rispetto ai contributi versati ci sono anche moltissimi fra quelli che hanno una pensione inferiore a 2.000 euro lorde. Se giustizia deve essere fatta, non si capisce perché queste persone debbano avere di più, soprattutto considerando che nel corso del tempo proprio fra queste categorie si sono annidati più evasori. E, se debbono avere di più per assicurare quello che viene a quanto pare un “minimo vitale”, non si comprende perché a pagare queste pensioni in parte “regalate” non debba pensarci la fiscalità generale, e dunque anche imprenditori e rentiers, invece della solita platea di lavoratori dipendenti e autonomi.

Inoltre, se vengono colpite soprattutto le pensioni di anzianità, a rimetterci non sarebbero soltanto coloro che hanno lasciato il lavoro volontariamente magari per farne un altro portandosi a casa anche una lauta pensione, ma anche coloro che – in seguito a crisi aziendali – hanno giocoforza dovuto accettare di lasciare il lavoro e accontentarsi di una pensione più bassa per il resto della vita.

Il carrello di incongruenze è piuttosto ampio: molte fra le pensioni meno basse hanno già pagato in questi anni – con vari blocchi dell’adeguamento all’inflazione – un prezzo salato, con riduzioni reali del 5 -10-20 per cento. Se giustizia deve essere fatta, occorrerebbe riconsiderare anche tutti questi elementi.

Poi risulta dalla proposta che ci sarebbero pensioni medio alte che, secondo il metodo contributivo, avrebbero una pensione più bassa del dovuto: che si fa con queste persone, gli si alza l’assegno? O no?

Infine, la proposta Boeri-Patriarca prevede delle aliquote di prelievo del 20-30-50 per cento sugli scaglioni di pensione che secondo il metodo contributivo sarebbero in eccesso. Ma perché non 10-15-20 o 40-60-90? Le aliquote proposte non hanno una vera ragion d’essere ma sembrano casuali.

Su tutte le obiezioni la più importante sembra però questa: si possono abolire i diritti acquisiti e consolidati nel tempo? L’obiezione sembra molto fondata se anche un esponente del Pd, ed ex ministro del lavoro, Cesare Damiano, ha detto sul ricalcolo contributivo delle pensioni:  “Si tratta di un’ipotesi che respingiamo, non solo perché non si possono continuamente mettere in discussione i diritti acquisiti, ma anche perché sarebbe socialmente insostenibile”. Con la riforma Boeri-Patriarca si innescherebbero infatti ricorsi a raffica alla Corte costituzionale ma soprattutto si creerebbe un clima di profonda frattura e scontento sociale. Una società dove non ci sarebbe più soltanto lo scontento dei giovani che non trovano lavoro, ma anche dei vecchi che si sentirebbero defraudati dei propri diritti. Mal comune mezzo gaudio? O mal comune doppia insoddisfazione? Di certo si tratterebbe di una decisione politicamente rilevante, e qualsiasi governo dovrebbe considerare anche i possibili effetti indesiderati. Soprattutto in un paese dove sono forti e crescono politicamente ben due forze anti-sistema, in grado di calamitare le insoddisfazioni di vario tipo.

Non è difficile immaginare la reazione di circa due milioni di famiglie a cui verrebbe tolto un pezzo della pensione che, secondo le leggi in vigore, avrebbero preso di più rispetto a un calcolo che verrebbe rifatto, a “spanne” per di più, oggi. A parte la valanga di ricorsi alla Corte costituzionale, il malcontento di così tante persone potrebbe avere effetti dirompenti.

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