
Si è scritto tanto e di più sul perché il ceo di Generali abbia deciso di lasciare il gruppo di Trieste. Qualunque sia la verità, però, un fatto è acclarato: il manager italiano, considerato uno dei più validi attualmente in campo nel mondo assicurativo, ha lasciato l’Italia e forse, professionalmente parlando, non tornerà più. Poiché ha 57 anni, e in Zurich, dove adesso è stato accolto a braccia aperte (quasi un figliol prodigo visto che tre anni fa gli fu preferito per la carica di amministratore delegato il suo avversario interno) dovrà lavorare per molti anni, si presume che difficilmente occuperà un altro posto di responsabilità qui da noi. Peccato.
Naturalmente, quando succedono queste cose, non c’è una ragione soltanto ma diverse, che concorrono tutte insieme all’esito finale. Intanto, forse, l’unica cosa che non c’è è la questione dei soldi. È chiaro che Greco ha avuto pressioni per lasciare Generali soprattutto da parte di Zurich (ma girano anche molti altri nomi) ed è evidente che in questi casi si offre di più. Ma lo scoglio dei soldi si sarebbe potuto superare: impossibile pensare che gli azionisti di Generali non avrebbero messo mano al portafoglio avvicinando la loro proposta a quella di Zurich (lo dimostra anche il fatto che, a posteriori, sembrano esser stati presi in contropiede dalla decisione di Greco). Quindi possiamo concludere con ragionevole certezza che non c’è stata alcuna frattura sul quantum o che comunque si continuava a trattare e una soluzione si sarebbe potuta trovare.
Si è parlato, fin dalla scorsa estate, di screzi o, meglio, di incomprensioni fra alcuni soci e Greco. Nella sua lettera di saluto, il ceoha ringraziato in particolare Franco Caltagirone e Leonardo Del Vecchio. Dunque, anche qui per esclusione, questi due non c’entrano. Rimangono gli altri due rilevanti (che non siano fondi d’investimento, di solito silenti su queste cose), ovvero Mediobanca e il gruppo De Agostini. Quest’ultimo, rappresentato da Lorenzo Pellicioli, in effetti qualcosa ha fatto: ha posto già molti mesi fa – e dunque molti mesi prima della naturale scadenza – il problema della riconferma di Greco. “Volevo porre la questione della sua riconferma per altri tre anni”, ha poi aggiunto, ma si è capito che qualcosa era accaduto.
Le altre “tracce” portano a Mediobanca e ovviamente al suo amministratore delegato, Alberto Nagel. Anche con lui qualcosa deve essere accaduto.
Fin qui quel che possiamo dedurre dalle cronache dei mesi scorsi. Da questo punto in poi ci sono soltanto illazioni. Qual è dunque il cuore della questione che ha portato Greco ad allontanarsi bruscamente da Generali? Lui stesso ha parlato di divergenze sulla strategia. Probabilmente questo è il punto. Si sono lette alcune cose, ad esempio il fatto che Greco volesse procedere a una fusione con Zurich per creare un colosso mondiale, sopravanzando in Europa Axa e Allianz.
Ora, sembra difficile che Greco, dalla sua posizione, possa aver proposto una fusione così dirompente, peraltro mai neppure lontanamente non diciamo annunciata (perché queste cose non si annunciano) ma neppure adombrata. Però questa è una traccia buona, una traccia da seguire. Perché – a tavolino – l’unica divergenza possibile tra Greco e i soci che abbiamo visto riguarda la strategia di crescita di Generali.
Dopo aver effettuato un turnaround formidabile al Leone di Trieste, con riduzione dei costi e ristrutturazione di tutta la filiera del business, a Greco non era rimasto molto da fare se non pensare alla fase 2, ovvero a una strategia di crescita. Ora, crescita vuol dire soprattutto fare acquisizioni (o fusioni carta contro carta, come quella teorica fra Generali e Zurich, ma ci sarebbero molte altre possibilità). Ma per crescere servono soldi, e qui forse è il punto: gli azionisti di Generali, al contrario di quelli di Axa e Allianz, da almeno una quindicina d’anni non hanno mai messo mano al portafoglio per effettuare aumenti di capitale. Né è pensabile che vogliano farlo ora, proprio mentre sia Mediobanca sia il gruppo De Agostini sono impegnati l’uno nel proprio turnaround con cambiamento del profilo di business e l’altro nell’importante rinnovo delle concessione sui giochi in Italia (a parte il fatto che in quel gruppo il debito è comunque strutturalmente elevato per le acquisizioni fatte in America in questi anni).
Dunque non c’era (e non c’è) che una soluzione, se Generali vuole espandersi: far diluire gli attuali azionisti e farne entrare altri. Il che avrebbe comportato il mutamento del profilo storico della compagnia: da gruppo di fatto controllato da un nucleo duro di azionisti italiani a una vera public company internazionale. Ovvero a qualcosa di simile a Zurich, ed ecco perché in effetti una megafusione di queste proporzioni avrebbe avuto – se davvero questa ipotesi fosse stata vera – un senso.
In ogni caso, o attraverso fusioni o attraverso acquisizioni, l’univa via per far crescere Generali è questa.
Giusto? Sbagliato? Generali avrebbe corso il pericolo di finire in mani straniere? Dunque meglio accontentarsi di un controllo di fatto con un piccolo nucleo duro pur di farla restare in mani italiane? È difficile dare una risposta definitiva ma è certo che, in un mondo in rapida trasformazione, restare fermi può non essere la migliore soluzione. Inoltre, secondo molti analisti, starebbe per ricominciare una sorta di risiko del settore assicurativo: dopo le ristrutturazioni degli ultimi anni, il comparto pare pronto a nuovi consolidamenti. Che possono produrre se non altro una riduzione dei costi, che è forse l’unico modo per sopravvivere in un mondo di tassi a zero. Basti pensare che, perdurando questa situazione, non si capisce bene cosa accadrà al comparto vita, che offre tradizionalmente rendimenti piuttosto bassi ma che oggi potrebbero diventare insignificanti quasi annullandosi del tutto.